Lucio Fabi è di Trieste, dove è nato nel 1954, ma intimamente legato a Gorizia: sulle vicende cittadine ha scritto da storico libri di grande interesse. I suoi temi ruotano attorno alla Grande Guerra e ai suoi prodromi ottocenteschi. “Gorizia storia di una città” uscì nel 1991, era da molto tempo esaurito ma è di nuovo in vendita per i tipi della Qudulibri. Contiene un’analisi dei nazionalismi dell’Ottocento e delle fratture culturali e sociali che produssero nella nostra città. Con lui proseguiamo il discorso cominciato con Don Ruggero nel numero scorso e che ha per tema l’identità di Gorizia.
Antonio Devetag – Identità tanto complessa da essere indefinibile e indefinita. Forse sta qui il fascino di Gorizia?
Lucio Fabi – Piuttosto la volontà di non avere una visione complessiva. Troppe divisioni e un mistero, soprattutto per chi viene da fuori in visita alla città. In che città sono? Cos’è Gorizia? Museo della Guerra, Museo della moda, Castello, pinacoteca, Fondazione Coronini non danno risposte a questa domanda…
AD – …sono uno dei tanti segnali della frammentazione di Gorizia
LF – Perché manca un Museo della città in cui il turista possa capire in modo semplice e chiaro quali sono le origini di Gorizia il suo sviluppo negli oltre dieci secoli di storia ufficiale. Un museo” bilaterale” perché anche Nova Gorica ha il problema di confrontarsi con una storia che comincia solo nel 1946…
AD – Quindi un Museo del “Goriziano” inteso come territorio che in fondo è stato diviso solo nel secolo scorso. Sarebbe un ottimo viatico per il 2025…
LF – Un biglietto da visita di cui Gorizia avrebbe assolutamente bisogno.
AD – Potrebbe essere ospitato in Villa Louise, sempre che i lavori riprendano. Ma riprendiamo il filo del discorso…
LF – Gorizia è una città sostanzialmente conservatrice come si evince dalla sua storia, nella quale a un certo punto prevale una dinamica borghesia italo-friulana fatta di imprenditori e commercianti, che all’interno del potere asburgico cresce in contrasto con un ceto lealista, spesso sloveno talvolta impiegato nella burocrazia imperiale ma che conosce una crescita economica notevole agli inizi del Novecento. Vuole un riconoscimento, vuole contare e celebra i suoi progressi con la costruzione del Trgovski Dom.
AD – Una convivenza difficile anche prima della guerra panslavismo, pangermanesimo, irredentismo…
LF – Certo, ma consultando i registri parrocchiali di Gorizia e dintorni alla fine dell’Ottocento e ai primo del Novecento si registrano tantissimi matrimoni misti: al di là degli estremismi significa che la convivenza tra le varie componenti superava questi ostacoli e dava origine a una società sufficientemente armonica.
AD – La Grande Guerra travolge tutto.
LF -Le distanze diventano siderali. E il fascismo le accentua spegnendo, secondo me, anche quelle vocazioni industriali che i vari Ritter e Brunner avevano portato avanti fino agli anni ’20. Del resto, Gorizia è da ricostruire, i danni della guerra sono enormi e il fascismo provvede con cospicui finanziamenti e imponendo una nuova burocrazia statale, ovviamente di fede mussoliniana. E lì che nasce quell’assistenzialismo che ci accompagnerà fin dopo la Seconda guerra mondiale, scalzando qualsiasi autoctona imprenditorialità.
AD – Oggi pressochè scomparsa. Una città che sembra asfittica, a capo di una provincia che ha il più basso tasso di aumento del Pil dell’intera Italia
LF – Il fatto è che Gorizia vive le sue vicende con divisioni da tifo calcistico, che derivano soprattutto dalle divisioni e dalle tragedie dalla fine degli anni ’40 e dall’ avversione per il comunismo…
AD – E per la dittatura di Tito …
LF – Insieme alla difesa della nazionalità italiana ormai saldamente nella sfera delle democrazie occidentali. Dall’altra parte la fondazione di una città speculare, Nova Gorica, celebrazione del credo marxista come contraltare al decadente mondo capitalista. Cala la cortina di ferro che viene in parte divelta per la prima volta con gli accordi di Udine del 1955 che ufficializzano spiragli prima impensabili con la creazione della propusnica, l’apertura dei valichi di seconda categoria: cominciano i piccoli commerci transfrontalieri. Italiani e sloveni riprendono a parlarsi.
AD – E l’identità?
LF – Irrisolta e forse irrisolvibile, con il problema che la comunità slovena come gruppo – non come singoli individui – si sente prima slovena e poi goriziana. Losi può storicamente capire ma non aiuta la crescita collettiva. La città arroccata è sempre spaccata culturalmente, ancella dell’assistenzialismo.
AD – Tanto che oggi si è lasciata sfuggire la gestione della Capitale Europea della cultura…
LF – E spero non manchi l’opportunità di uno sviluppo turistico, che potrebbe essere una soluzione, anche se non decisiva, per il suo futuro. Gorizia ha dalla sua una lunga storia, l’arte e la cultura: turismo culturale. Turismo green per Nova Gorica ha dalla sua un paesaggio naturale che gli sloveni stanno sfruttando e bene a fini turistici: la Valle dell’Isonzo è un must per i canoisti. Mettere insieme questi due tesori sarebbe una mossa vincente. Ma mi sembra che manchino vere sinergie operative.
AD – Quale futuro intravede lo storico Lucio Fabi?
LF – Gorizia è stata Incapace di reagire alla caduta dei confini e lo confermano i dati demografici il cui calo allarmante segnala una scarsa fiducia nel futuro. Altre cifre? A Gorizia l’età media è di 49 anni, a Nova Gorica di 46. Ciò è confermato dalla fuga dei giovani in cerca di occupazione. Una città senza giovani che hanno un’oggettiva difficoltà di trovare lavoro, è una città che si spegne.
A cura di gorizia3.0